Matrimonio troppo breve? No al mantenimento (Cass., Sez. I civ., Ord. 5 agosto 2024 n. 21955)
In materia di separazione personale dei coniugi, la durata estremamente breve del matrimonio deve essere valutata, sia ai fini della spettanza dell’assegno di mantenimento, sia ai fini della sua quantificazione.
In particolare, non spetta l’assegno divorzile in funzione assistenziale qualora la breve durata del matrimonio non abbia consentito l’effettiva realizzazione di una comunione materiale e spirituale tra i coniugi, che costituisce, secondo quanto previsto dall’art. 1 L. 898/1970, l’essenza stessa del matrimonio, in difetto, altresì, di una convivenza continuativa ed effettiva.
Nella fattispecie, la Corte di Cassazione accoglie i primi due motivi di ricorso principale avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia che ha riconosciuto al coniuge richiedente il diritto di percepire l’assegno di divorzio in funzione assistenziale, senza tener conto che tra i coniugi non vi era mai stata alcuna coabitazione e comunione di vita materiale e spirituale durante il brevissimo periodo di matrimonio (venticinque mesi).
La Suprema Corte ricorda che, in tema di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno come previsto dall’art. 5 L. 898/1970, ma non anche sul riconoscimento dell’assegno divorzile, tranne i casi eccezionali in cui non si sia realizzata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi.
Assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e quelli del ricorso incidentale in ragione della stretta interdipendenza con i motivi accolti, la decisione impugnata viene cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello in diversa composizione per il riesame e per la statuizione sulle spese di giudizio, anche di legittimità.
Interruzione del processo e legittimazione alla dichiarazione di estinzione
La Corte di Appello di Bari (sentenza n. 704/2024 depositata in data odierna), accogliendo la domanda della parte assistita dallo Studio Legale Mondelli, statuisce che
la parte non colpita dall’evento interruttivo può riassumere il processo interrotto, dopo il decorso del termine dall’evento interruttivo (o dalla sua legale conoscenza), al solo fine di vederne dichiarata l’estinzione, e ciò anche al fine di potere conseguire gli effetti di cui all’art. 338 c.p.c., con la formazione del giudicato.
Inoltre, la corte riafferma il principio consolidato per cui la dichiarazione del procuratore costituito dell’evento interruttivo è idoneo a produrre, ai sensi dell’art. 300 c.p.c., comma 2, l’effetto automatico dell’interruzione del processo dal momento di tale dichiarazione e che il conseguente termine per la riassunzione, in tale ipotesi, come previsto in generale dall’art. 305 c.p.c., decorre dal momento in cui interviene tale dichiarazione del procuratore o la notificazione dell’evento, ad opera dello stesso, nei confronti delle altre parti.
Sulle spese, tuttavia, dispone che restano definitivamente a carico delle parti che le hanno anticipate, in conformità del disposto di cui all’art. 310, co. 4, c.p.c. che regola l’estinzione del processo, non potendo darsi seguito al principio di soccombenza sostanziale e/o virtuale.
Responsabilità del custode e riparto dell’onere probatorio
La S.C. di Cassazione, 3^ Sezione Civile, con Ordinanza nr. 3159/2023 del 22.3.2024, in totale accoglimento delle ragioni evidenziate in Controricorso dalla parte Resistente patrocinata dallo Studio legale Mondelli, ha dichiarato inammissibile il ricorso, riaffermando principi da ritenersi consolidati per cui:
“non sussiste responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. per le cose in custodia, qualora il danneggiato si astenga dal fornire qualsiasi prova circa la dinamica dell’incidente e il nesso eziologico tra il danno e la cosa” (Cass. Sez. 3, sent. 6 aprile 2006, n. 8106, Rv. 588582-01), essendo egli onerato dal dimostrare “l’esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa” (Cass. Sez. 3, sent. 25 luglio 2008, n. 20427, Rv. 604902-01 (in senso conforme, tra le più recenti, si vedano, tra le numerose, Cass. Sez. 6-3, ord. 22 dicembre 2017, n. 30775, Rv. 647197-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27724, Rv. 651374-01).
Motivando a tal fine che, proprio in quanto la norma suddetta “non prevede una responsabilità aquiliana, ovvero non richiede alcuna negligenza nella condotta che si pone in nesso eziologico con l’evento dannoso, bensì stabilisce una responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall’ordinaria diligenza del custode” (così, tra le altre, Cass. Sez. 6-3, ord. 16 maggio 2017, n. 12027, Rv. 644285-01), occorre che il preteso danneggiato dimostri la sussistenza del nesso causale tra “res” e danno, giacché, altrimenti, quella prevista dall’art. 2051 cod. civ. sarebbe una fattispecie fondata su un criterio addirittura stocastico, e non “oggettivo”, di imputazione della responsabilità.
Nello specifico, come anticipato nell’incipit, si tratta di principi ancora di recente ribaditi dalla S .C. la quale ha sottolineato come “l’incertezza in ordine ad una circostanza incidente sull’imputabilità eziologica dell’evento dannoso impedisce di ritenere integrata la prova – gravante sull’attore – del nesso causale tra la cosa e il danno” (Cass. Sez. 3, ord. 18 luglio 2023, n. 20986, Rv. 668584-01).
“Sulla causa del contratto di mutuo” Tribunale di Foggia – Sentenza n. 332/2024
Il Tribunale di Foggia con Sentenza n. 332/2024 rigetta la domanda di nullità di un contratto di mutuo con destinazione delle somme finalizzate a ripianare pregresse situazioni creditorie, ritenendo che tale elemento non sia idoneo a configurarsi parte costituente della causa contrattuale, così da non potersi delineare la diversa figura giuridica del mutuo di scopo.
Allo stesso tempo, esclude il ricorrere di una potenziale simulazione così come la censurata ipotesi di nullità.
Si riporta qui di seguito il dictum motivazionale che, di fatto, accoglie la difesa sostenuta da questo studio:
“La causa concreta del mutuo si concretizza nella dazione di una somma, il cui utilizzo ben può essere preordinato dalle parti a soddisfare precedenti partite debitorie, anche per dilazionarne il termine di scadenza controbilanciato da nuove garanzie, senza che questo entri nella causa in senso oggettivo fino a qualificare il contratto quale vero e proprio “mutuo di scopo”.
Deve escludersi che una simile operazione sia affetta da nullità per illiceità della causa, oppure da simulazione.
Tra l’altro, la nullità del contratto può essere pronunciata qualora il contratto violi norme imperative ed inderogabili concernenti la validità del contratto e non già norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti; in tal guisa, l’eventuale scorrettezza dell’operazione compiuta dalla banca, consistita nel ripianamento di un debito del debitore a mezzo di concessione di un nuovo credito non è idonea a determinare la nullità del contratto di mutuo, perché ad essere stata violata sarebbe, al più, una norma di comportamento e non una norma di validità del contratto.”
Sulla finalità dell’Accertamento Tecnico Preventivo ex art. 696 bis cpc.
Sulla finalità dell’Accertamento Tecnico Preventivo ex art. 696 bis cpc., il Tribunale di Foggia, accogliendo l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla parte resistente, assistita dallo Studio Legale Mondelli, ha statuito, dopo avere riaffermato la preminente finalità conciliativa dell’Istituto, che sia invece imprescindibile – tanto da configurarsi quale presupposto essenziale del ricorso – la valutazione del fumus, da individuarsi avendo presente la doppia anima (conciliativa, in via principale, ed istruttoria, in via sussidiaria).
“In testamentis plenius voluntates testantium interpretantur”
Le esigenze che la normativa successoria deve tutelare e l’immutata percezione dei vincoli familiari confermano come questa “branca” del diritto civile sia una delle più stabili esistenti, l’ennesima conferma viene da una recente pronuncia del Tribunale di Roma (Sentenza n. 9990/2023 pubbl. il 22/06/2023) che, accogliendo le eccezioni dei difensori dei convenuti (tra cui lo scrivente Studio Legale) ha accertato la natura di disposizione di legato anziché di disposizione ereditaria (“institutio ex re certa” secondo la tesi attorea) e conseguentemente ha rigettato la domanda attorea per difetto di legittimazione passiva dei convenuti.
Le peculiarità della vicenda sottostante e della sentenza sono varie e tali da renderla degna di divulgazione per la pubblica informazione oltre che interessante per gli operatori giuridici.
Il compenso dell’avvocato: competenza
Il Giudice di Pace adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera è competente per le controversie in materia di liquidazione degli onorari previste dall’art. 28 ln 794/1942 e regolate dal rito di cui all’art. 14 d.lgs. N. 150/2011. Un avvocato ha proposto ricorso avverso l’ordinanza del Giudice di pace che ha rigettato per incompetenza la richiesta di liquidazione dei compensi professionali inerenti alcune procedure monitorie intraprese presso quello stresso ufficio in qualità di codifensore.
Mamma o papà? In tema di affidamento l’ascolto del minore deve essere garantito.
La Corte d’Appello di Firenze disponeva l’affido esclusivo di un bambino di 9 anni e la madre, di fronte all’affidamento in via esclusiva al padre, lamenta la mancata audizione del minore da parte dei giudici di seconde cure, che si sono limitati a ritenere sufficiente il materiale probatorio acquisito in primo grado.
L’obbligo di informazione: dal consenso dell’avente diritto al diritto all’autodeterminazione nel rapporto medico/paziente
Nel rapporto che viene a crearsi tra il medico ed il paziente, importante è il requisito del consenso libero e consapevole del paziente, quale presupposto di liceità dell’intervento e della condotta terapeutica che comunemente si definisce del “consenso informato”.
Abuso del processo se si chiedono danni all’auto e alla persona con due azioni separate
Non è consentito al danneggiato, in presenza di un danno derivante da un unico fatto illecito, riferito alle cose ed alla persona, già verificatosi nella sua completezza, di frazionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di distinte domande, parcellizzando l’azione extracontrattuale davanti al giudice di pace ed al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, e ciò neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento.